Peppino Ortoleva

PEPPINO ORTOLEVA

Storia della radiotelevisione, storia di noi tutti noi Nel gennaio 1925, subito dopo l'inizio delle trasmissioni dell'Unione Radiofonica Italiana nell'ottobre dell'anno precedente, nacque il Radio Orario, un settimanale che si rivolgeva all'ancora esile numero dei radio-ascoltatori. All'inizio del 1930, l'azienda radiofonica si chiamava ora EIAR, la rivista cambiò nome in Radiocorriere. Nome che sarebbe rimasto con la nascita della RAI nel 1944, e sarebbe poi mutato, ma lievemente, nel 1958 in Radiocorriere TV, per ricordare la novità che si era verificata con l'inizio delle trasmissioni televisive. Ma per il grande pubblico il nome è sempre quello, da oltre ottant'anni: una delle riviste illustrate di più lunga durata nella storia dell'editoria italiana. A rendere preziose le annate del Radiocorriere, come sanno molti storici e molti dei bibliotecari che le conservano, è prima di tutto il fatto che fin dall'inizio (e tanto più a partire dal 1930) questa rivista assunse una varietà di compiti, cosa che spiega la popolarità a cui arrivò, fino a sfiorare nel 1951 le 600.00 copie a numero. Si trattava prima di tutto di un “orario”: che giorno per giorno indicava i programmi, prima della singola rete radiofonica, poi delle due reti, quindi a partire dal 1950 dei tre programmi RAI, e con il 1954 quelli della rete e successivamente delle reti televisive. Certo, gli stessi programmi erano presentati anche dai principali giornali, ma in un paese che leggeva molto più i settimanali dei quotidiani una rivista illustrata dove si potessero ritrovare elencate, giorno dopo giorno, tutte le trasmissioni dei sette giorni successivi aveva un forte richiamo; tanto più che il Radio Orario e poi il Radiocorriere promettevano non solo i titoli dei programmi ma anche informazioni sugli interpreti, sulle trame, sugli autori. E' stato un settimanale “di servizio”, che permetteva dapprima agli appassionati che furono tra il 1925 e il 1929-30 i “pionieri” dell'ascolto radiofonico, poi al pubblico di massa, di prepararsi una vera e propria agenda di ascolto, di decidere per esempio quali serate trascorrere in casa, a preferenza del cinema o di altri modi di passare la serata, per non perdere un concerto, una commedia, una “conversazione”, al tempo della radio; o anche, al tempo della televisione, un romanzo sceneggiato, un quiz o un varietà del sabato sera. E' stato un settimanale “di servizio” che faceva però anche molto altro: traduceva il flusso di mezzi sfuggenti e volatili come la radio e la televisione in un medium più tradizionale e soprattutto più stabile, la carta. Tra l'altro questo è uno dei motivi per cui le collezioni della rivista hanno tanto valore sia per gli storici sia per gli appassionati: lungo la storia della radio e della televisione tante trasmissioni anche storicamente importantissime si sono perse, per la mancanza, il costo o l'inaffidabilità dei supporti, o semplicemente per errori organizzativi, ma il Radiocorriere ha conservato quanto meno le fotografie di scena, le trame, battute di dialogo. Un archivio sussidiario rispetto a quelli magnetici e poi elettronici, ma un archivio preziosissimo. Ma limitare il Radio Orario e poi il Radiocorriere alla funzione di servizio, sebbene importante, è riduttivo. Fin dall'inizio, sul modello della rivista della BBC, il Radio Times, ne ebbero anche un'altra: quella come si dice nel linguaggio giornalistico di house organ, di espressione di un'azienda che era ed è anche un'istituzione, e parte del sistema politico dapprima per il peculiare rapporto con il regime poi per quello altrettanto peculiare con il sistema dei partiti e con il Parlamento. La storia dell'Unione Radiofonica Italiana, poi dell'EIAR, poi della RAI è una parte considerevole della storia del nostro paese, dal punto di vista dell'industria culturale come dal punto di vista della propaganda più o meno dichiarata, politica ma anche più in generale ideologica (basta pensare a temi come la moralità sessuale o la questione del divorzio): per questa storia il Radio Orario e poi il Radiocorriere sono fonti insostituibili, grazie alla grande quantità di documenti aziendali ufficiali ma anche ai tanti articoli e documenti che con una parola così peculiare della storia politica italiana possono essere definiti “ufficiosi”, termine che indica quei testi che pur senza dichiarare esplicitamente un punto di vista istituzionale lo esprimono di fatto. Da questo punto di vista la rivista dell'azienda radiotelevisiva è (o almeno è stata per una non breve fase storica) spesso più significativa di altre fonti più studiate, come la stampa di partito o i quotidiani maggiori. Se fosse stato solo un organo di servizio o un house organ, comunque, il Radiocorriere non avrebbe raggiunto il successo di pubblico che ha accompagnato a lungo la sua storia. Basta vedere il primo numero del 1930 con la sua copertina coloratissima e con la sua grafica innovativa per comprendere che già ai suoi albori la rivista coltivò un'ambizione anche di altro genere: quella di entrare a pieno titolo e con piena competitività nel mercato nascente dei giornali illustrati, dei rotocalchi. E come tutti i rotocalchi principali è diventato uno dei più importanti ed efficaci strumenti di auto-rappresentazione della società italiana. Molti dei settimanali che hanno avuto successo soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta hanno dovuto la loro presa sul pubblico alla potenza immaginaria e fotografica insieme del cinematografo, un mezzo che nell'Italia del dopoguerra ha creato divi e generi di fama duratura e di grande fascino. Il Radiocorriere, più modestamente ma anticipando una tendenza che si sarebbe rivelata strategica, ha affidato il richiamo delle sue copertine e delle sue immagini a media apparentemente di minore portata simbolica, fondati non tanto sulla forza del mito quanto su quella solo in apparenza più banale della quotidianità e dell'abitudine. Le sue star avevano non la bellezza a metà tra terra e cielo dei “divi” ma quella più rassicurante degli eroi di tutte le sere. Alla lunga si è visto che l'apparente modestia dello star system televisivo ha avuto una tenuta, politica e culturale, e ha esercitato un'influenza, forse anche superiore all'attrazione esercitata dal grande schermo.